Per capirne di più
Cosa ruba ZOOM?
Prendiamola alla larga.
Zoom, da quando è scoppiata la pandemia, è diventata la principale app per le videoconferenze. Il valore delle azioni della società che l’ha creata e gestisce è schizzato molto in alto. Quando abbiamo provato le app tra colleghi per capire quale potesse essere la migliore dal punto di vista della didattica a distanza alla fine siamo arrivati alla conclusione che Zoom fosse la migliore. Non è stata la prima che abbiamo provato, non è stata l’ultima. Le abbiamo anche testate di nuovo dopo diverse settimane nella speranza che nel frattempo le avessero migliorate. Niente, Zoom è sempre risultata la migliore secondo le caratteristiche per noi necessarie.
Zoom ha problemi? Certo che li ha. Come qualsiasi programma informatico, nessuno è esente da infiltrazioni indebite.
Zoom non nasce per la scuola ma, considerato il largo uso nelle stesse in seguito a questa crisi, si è adattata in modo rapido fornendo sempre di più una maggiore sicurezza. C’è stato il fenomeno del ZoomBombing, diverse riunioni sabotate dall’intrusione di utenti esterni, poi, nel giro di pochi giorni, per ovviare a questo inconveniente, Zoom ha introdotto la waiting room nascondendo il numero della stanza e inserendo di base impostazioni per la sicurezza che prima non esistevano o erano opzionali.
Dalla prima avvisaglia di problemi su Zoom, abbiamo seguito giornali, blog informatici, ci siamo informati affinché non ci trovassimo scoperti. Adesso ci è arrivata la vostra comunicazione. E un po’ ci ha irretito perché la troviamo pericolosa secondo due punti di vista:
-le informazioni presenti sono errate (vedi articolo precedente);
-mette in luce la nostra scarsa dimestichezza con l’essere digitale.
Vi segnaliamo due articoli tra quelli che abbiamo visto e che sono piuttosto indicativi:
https://www.bufale.net/pagina-televideo-zoom-migliaia-di-registrazioni-sul-web/
https://www.bufale.net/andate-tutti-su-instagram-con-meet-zoom-e-skype-vi-sono-entrati-nellaccount-allarmismo-e-timori/
Leggendo il primo articolo, mi è venuto in mente un particolare abbastanza rilevante.
La foto che vedete è uno screenshot su una parte del primo articolo.
Due righe su come funzionano i siti.
Ogni sito ha una sua funzione. E dei costi. Puoi creare un sito per rendere pubblica la tua opinione, il cosiddetto blog, ma se pensi di avere un seguito o di fare un qualcosa che abbia un’utilità ti può venire in mente anche di monetizzarlo. Se non altro per ripagare i costi fisici del sito o per ricompensarti dello sforzo che fai per tenerlo aggiornato.
Il modo più semplice è inserire della pubblicità. Il sito che smaschera le “bufale” vive esattamente di questo. Quella pubblicità che voi vedete nell’immagine che vi ho allegato è indirizzata. La vedo io e non voi in quella pagina. La crea Google. Google ha preso traccia della mia navigazione: quello è un sito che effettivamente ho visitato, quelle sono effettivamente delle scarpe su cui mi ero soffermato e da quel momento mi seguono come un’ombra in molte pagine in cui navigo. Se un’azienda vuole che venga diffusa questa pubblicità, paga Google che a sua volta gira una parte dei suoi introiti al sito stesso, in base ai click effettuati (mai sentito parlare di “articolo clickbait”?), che ha dato disponibilità di inserire la pubblicità e una parte ovviamente la trattiene per sé. Google vive di questo, cattura queste informazioni e le vende; il sito “bufale” vive di questo e del suo modo fare di giornalismo. Se loro scrivessero cose non vere, la loro credibilità crollerebbe e nessuno più andrebbe su quel sito. Con nessun click non avrebbero entrate e a quel punto farebbero prima a chiudere.
Questo per dire che quando sentite dire che “rubano i nostri dati” lo fanno tutti, nessuno escluso. In primis Google. Anche perché ovviamente i servizi gratuiti di Google, di cui usufruiamo e che io stesso in questo momento sto utilizzando per scrivere questo articolo, hanno un costo e se noi non li paghiamo, come fa Google ad esistere? E cosa vende e come guadagna? Ecco, porsi qualche domanda non è sbagliato: cosa stiamo cedendo o abbiamo già ceduto? Inutile dire che Youtube funziona uguale.
Andiamo adesso a Zoom. Il programma è sicuro? Lo è nella misura in cui noi lo rendiamo sicuro. Con le giuste precauzioni.
Già vi ho detto che nelle settimane scorse Zoom è prontamente intervenuta a migliorare la sicurezza del suo programma. Le cose su cui stanno lavorando adesso sono ad un livello di complessità che oggettivamente io non sono in grado di comprendere. Lo sono solo per chi ci lavora. Ma non sono di certo i problemi di hackeraggio dell’account di Instagram…
Definire Zoom non sicura per questo genere di problema e non rendersi conto che i nostri dati sono sempre sul mercato, mi fa capire che non abbiamo la giusta percezione di ciò che succede quando navighiamo in rete.
Meglio altri programmi? Notizia di qualche giorno fa che Google invita i suoi dipendenti (quindi persone che vivono di informatica) a non usare Zoom ma Meet. Bella questa: il prodotto per videoconferenze che cercano di vendere non è utilizzato neanche dai propri dipendenti. Coloro che contribuiscono a creare o migliorare Meet, usano Zoom per le loro videoconferenze. Non Meet.
Un’ultima precisazione: se stiamo pubblicando questo è perché, da un punto di vista strettamente pratico, Zoom si è rivelata una buona app per la connessione docente-alunno, forse la migliore, e vederla rigettata per una bufala, che è già bella e pronta anche per Meet o Skype (vedi secondo link inserito), mette in luce solo la nostra scarsa preparazione digitale.
Prof. Francesco Di Nucci